Gabbie dorate ed esistenze invisibili

COME LA LIQUIDITÀ SOCIO-CULTURALE INFLUENZA I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE E LA PERCEZIONE DI SÉ

Urla e freme furiosa la penna della giornalista inglese Laurie Penny del New Statesman. Le parole del suo articolo Il mondo vuole delle donne trasparenti ribollono di rancore verso una società e un sistema cieco e opprimente che impone canoni di bellezza e benessere malati, inaccettabili, innaturali e troppo spesso potenzialmente letali rivolti soprattutto alle donne.

Modelle scheletriche visibilmente ritoccate popolano le copertine di riviste, manifesti pubblicitari di moda e non solo: oggi anche gli spot pubblicitari della comunissima vernice “utilizzano” donne appariscenti, trasformate in mero oggetto di piacere, donne oggetto che sembrano apprezzare il modo in cui vengono trattate, donne apparentemente perfette che stanno diventando il modello delle nuove generazioni.

I social, i media, promuovono immagini di donne troppo puerili e di bambine troppo precoci, che invadono le home page degli utenti di instagram, facebook o altri network di cui oggi sembra non si riesca a fare a meno e che stanno fagocitando le nostre vite.

Verrebbe da chiedersi perché tutto questo rumore se ormai alla maggior parte della società questi archetipi piacciono: semplicemente perché questi modelli sono falsi, mere illusioni, potenziali pericoli, in quanto la loro martellante presenza riesce a plagiare le menti dei soggetti più fragili, non solo femminili ma anche maschili. E così facendo impongono canoni di bellezza e di status irraggiungibili e irrealizzabili che si insidiano prepotentemente nelle nostre vite, nei nostri pensieri, nei nostri modelli, finendo per renderci copie di copie, spersonalizzati e stereotipati.

Laurie Penny sostiene che questo gioco perverso, questo marketing diabolico e manipolatore, si accanisca particolarmente contro il sesso femminile. Certo non le si può dare torto; nonostante si parli tanto di parità di genere, nonostante le donne stiano pian piano conquistando il loro legittimo posto accanto agli uomini anche nell’ambito lavorativo ed economico, il lavoro è ancora molto e la reificazione della donna sempre più tristemente invadente. Ma non si può non considerare il fatto che questa sorte talvolta tocchi anche agli uomini, anch’essi vittime inconsapevoli di una spersonalizzazione e di una manipolazione mentale che li trasforma in soggetti sempre più fragili e sempre più insicuri, sempre più oggetto e sempre meno persona.

Maschi, femmine, quando si tratta di disturbi mentali come i disordini alimentari, fomentati dai media e dal marketing, che indeboliscono i corpi e la mente di creature sempre più fragili, non credo sia giusto metterla sul piano sessista, sono tutti ugualmente vittime, anche se statisticamente la percentuale di donne affette da disturbi del comportamento alimentare è nettamente maggiore.

Certo, non bisogna generalizzare sostenendo che la sola causa dei DCA sia imputabile alla società e al sistema mediatico; tuttavia è innegabile che, sebbene le ragioni a cui si possono ricondurre i disturbi alimentari siano molteplici e differenti da soggetto a soggetto, il ruolo dei media e del sistema in cui viviamo gioca un ruolo determinante, soprattutto se la percentuale di pazienti affetti da DCA e ricoverati per anoressia grave è in costante aumento e il numero di minorenni sempre maggiore. Secondo i dati riportati dal Ministero della Salute e dall’ADI (Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione clinica), in Italia i pazienti affetti da disturbi alimentari sono circa 3 milioni, di cui 95,9% donne e il 4,1% uomini, con un tasso di mortalità per anoressia nervosa che oscilla tra il 5-6%.

Eppure nonostante la tragicità di questa piaga si fa ancora troppa fatica a parlare di disturbi del comportamento alimentare, a trattarli come le patologie gravi, a volte mortali, che spesso si rivelano essere.

Io credo che la superficialità e la pigrizia mentale delle persone ostacoli la comprensione e anche la cura di tali malattie.

Pensateci, a quante persone che non abbiano sofferto o visto qualcuno soffrire di DCA, nel momento in cui passa loro davanti una ragazza anoressica, viene in mente di chiedersi il perché di quello sguardo vuoto, di quelle dita lunghe e scheletriche, di abiti di tre taglie più grandi della sua per coprire un corpo emaciato fatto di pelle e ossa? Viene più facile pensare “poverina, ma come si è ridotta?!”, quando invece ciò che davvero conta è capire perché si è martoriata a tal punto.

Non si precipita nel baratro dei DCA solo per aderire a malati canoni estetici ed inseguire modelli da copertina. L’anoressia per esempio, non è unicamente dieta e dimagrimento. Dietro a questa malattia c’è un mondo fatto di fili, di angosce, paure, insoddisfazioni, sottostima, senso di colpa e senso del dovere, inadeguatezza, sensazione di abbandono e di dover dare di più per essere perfetta, per essere all’altezza delle aspettative altrui, per essere amata e degna di amare.

Ridurre un disturbo alimentare al suo sintomo ne impedisce la comprensione; ma se non si conosce come si può capire? E a maggior ragione, se non ci si sforza di comprendere il malessere celato nel profondo dell’Altro, come lo si può aiutare ad aiutarsi?

Ronald Laing, celebre psichiatra scozzese, sosteneva che nel trattamento di pazienti affetti da malattie mentali come la schizofrenia, l’approccio fondamentale e più efficace è l’immedesimazione nei vissuti affettivi del paziente; solo in questo modo si può tentare di guadagnare la fiducia dei pazienti aiutandoli a ritrovare e a comprendere le vere cause del proprio malessere per tornare a vivere e a sperare.

Nei disturbi del comportamento alimentare non è diverso. Chi ne è affetto non vuole solo attirare l’attenzione e rincorrere narcisisticamente impropri ideali di bellezza per avere successo. Chi soffre di DCA diventa trasparente per dire “ci sono anche io”, si annulla per generare una mancanza e indurre l’Altro a cercarlo, a strapparlo a questa lenta distruzione inconsapevolmente volontaria; chi soffre di DCA muore lentamente per poter esistere. E tutto questo perché il vortice di dolori in cui la vittima è stata trascinata ha ormai inglobato la propria preda e la precipita sempre più nel baratro, disorientandola, facendola smarrire, inducendola perdere se stessa e a spezzare il proprio Io in miriadi di frammenti che turbinano senza riuscire a ritrovare la propria originaria unità e una normale consapevolezza di sé. Fragili, espropriate di ogni energia, indotte all’odio verso se stesse da una volontà malata, le vittime di DCA non hanno nemmeno più la forza di chiedere aiuto. Il loro grido disperato non ha voce, la malattia lo soffoca nella gola e l’unico modo per implorare soccorso diventa l’annullamento, con conseguenze paradossali rispetto a quello che la malattia sembra volere.

Esserci ed essere disposti a capire la malattia, è l’approccio più efficace per prendersi cura dei pazienti affetti da disturbi alimentari, per aiutarli ad aiutarsi, per guarire e tornare a vivere.

Certo è che fino a quando anche la società e i media non smetteranno di riempire la nostra quotidianità di falsi miti di bellezza e stereotipi di donne e uomini reificati, emblema di successo e realizzazione proprio perché incarnazione di questi perversi ideali, sconfiggere queste malattie del XXI secolo sarà sempre più difficile, perché la società sarà sempre più cieca e disinformata.

Facciamo crescere le ragazze in un tornado d’immagini di bellezza inarrivabile, le sottoponiamo senza sosta a una serie di dimostrazioni con le quali le convinciamo che saranno penalizzate se non avranno un certo aspetto. Lasciamo costantemente intendere che se crescendo diventeranno qualcos’altro non varranno assolutamente niente a meno di non conformarsi a un’idea di bellezza che è, letteralmente, magra al punto da non permettere a un corpo umano di respirare. (…) E poi, quando sviluppano disturbi alimentari alziamo le spalle e diciamo: accidenti però, queste ragazzine stupide, perché non si mangiano un panino?

Con queste parole la Penny critica la società in cui viviamo: prima facciamo il lavaggio del cervello su come si deve essere e poi si critica ciò che si diventa, deresponsabilizzandosi sulle condizioni in cui versano i soggetti più fragili. Eppure sembra essere normalità. Sembra essere normale ridursi a scheletri, apparire piuttosto che essere, non sapere più ciò che si vuole, ciò che si è, cadere ed essere denigrati anziché aiutati a rialzarsi e a procedere a testa alta perseguendo obiettivi e realizzando sogni.

“Se non aderisci ai canoni che questo mondo impone, non sei niente, non avrai mai successo!” sembrano urlare le modelle dalle copertine patinate delle riviste e dai cartelloni pubblicitari, gli e le influencer dai lussuosi hotel di tutto il mondo, i politici e i giornali. Ma che ne sanno queste persone che vivono di finzione di ciò che è la realtà, di cosa sia la verità che ognuno di noi è e rappresenta?

Cosa ne sanno della Bellezza e della realizzazione di sè, di quella diversa dal cospicuo conto in banca o da una carriera galoppante che non si è nemmeno ben sicuri di come si sia compiuta o che molto spesso è solo apparenza e a parte materialità non offre nulla di ciò che vale la pena di essere vissuto, di ciò che rende la vita davvero meravigliosa. I sentimenti, le persone, la genuinità, l’esserci, gli affetti, la verità, se stessi…questa è Bellezza.

Bellezza è amare se stessi e accettarsi per come si è; è vivere ogni giorno in ogni suo singolo aspetto, è amare e amarsi, è ridere e piangere, è essere e non apparire, è credere, sperare, sognare, è essere fieri dei propri sogni e di ciò che si è e in cui si crede; è essere pronti a cadere e a rialzarsi ed avanzare umilmente ma fieri verso gli obiettivi che si vogliono realizzare. È spontaneità, è semplicità, è poter essere e non dover essere; sono le persone che abitano i nostri giorni, cha amiamo e ci fanno sentire amati.

Bellezza è il nostro corpo che cambia e che ascoltiamo, di cui ci prendiamo cura perché è la casa che abiteremo per sempre.

Bellezza è vita, è libertà, e quando la si deturpa infangandola di ipocrite illusioni e false promesse di successo, la vita muore.

<< Sono arrabbiata con questa cultura (…) che insegna ancora alle ragazzine a farsi più piccole, a tagliarsi a fette, a restringere i loro corpi e umiliare le loro ambizioni finché il loro spazio nel mondo si riduce>> scrive ancora la giornalista britannica.

Ed è vero, siamo davanti ad una cultura che ci riduce a un mondo fatto di troppe apparenze e nessun vero ideale, che porta ragazze e ragazzi – perché a mio avviso non si può fare un discorso di genere su temi delicati come questi in cui le vittime si contano su entrambi gli schieramenti dei sessi – ad annullare se stessi per inseguire un mondo liquido, per citare Zygmund Bauman, in cui ormai stiamo annegando. E non è giusto! Non è giusto spegnere ondate di vita che dovrebbero invece esplodere in tutta la loro giovinezza cristallizzando il loro metamorfico essere in una bara di cristallo, che per quanto luminoso possa apparire, alla fine è solo vetro.

La luce del sole, non quella del cristallo, è quella che dovrebbe bagnarli ogni giorno; la luce di una vita liberi dal dover essere in cui potersi immergere con serenità nell’incertezza, forti della presenza delle persone che li amano e fieri sostenitori di se stessi.

Da sette anni il 15 marzo si celebra la giornata nazionale del Fiocchetto Lilla per la cura e la prevenzione dei disturbi alimentari: è un giorno simbolico ovviamente, in cui l’Italia si mobilita per informare in merito ai DCA. Ma di queste malattie mentali, le malattie della contemporaneità, si dovrebbe parlare più spesso e più efficacemente, riflettendo non solo su cosa tali patologie comportano, ma su cosa le determina, cause inconsce ma anche perfettamente visibili: non è un caso se più la modernità diventa liquida ed effimera con i suoi canoni vanesi, maggiore è anche la percentuale di incidenza di tali patologie mentali.

Non permettete al vostro sole di essere spento dalle nuvole rosee di un mondo fatto di riflessi e ignoranza. Irradiate luce, esplodete di vita, amate, a partire da voi stessi; siate curiosi e fate domande: conoscere è il motore della vita e solo chi è curioso e vuole sapere davvero resterà padrone di se stesso senza che un sistema corrotto lo fagociti destabilizzandolo alle fondamenta.

In merito ai DCA, informatevi ed informate, per spiegare che queste malattie non devono assolutamente essere banalizzate, che non sono il capriccio di ragazzine viziate che vogliono assomigliare ad idoli mediatici, ma che sono invece punte di iceberg con una montagna di dolore nascosto, spesso inconscio, che va compreso e che bisogna aiutare a capire.

Solo così si potrà permettere alle vittime di DCA di tornare ad amarsi e ad avere fiducia in se stessi e nella vita. Ma è necessario conoscere, è necessario esserci, è fondamentale sperare e aiutarli a reagire alla malattia, perché sappiate che dai disturbi alimentari si guarisce, e una volta risorti dalle ceneri, proprio come la fenice, le vostre ali con cui calcare i cieli del mondo saranno ancora più forti, e la mente e il cuore più consapevoli e attaccati ad ogni cosa che la vita, nella sua imperfetta perfezione, nel suo eterno divenire, ha da offrire.

Giulia Elena Vigoni

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