La più magra di tutte: la storia di Giulia Pizzuto

giulia pizzuto by cristiano castaldi

Tra i progetti dell’Associazione Nutrimente Onlus è attiva una serie di interviste ad atleti italiani sul tema della salute e dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA). Già nei mesi precedenti abbiamo avuto l’onore e il piacere di conoscere alcune campionesse e artiste che hanno raccontato le loro storie. Il presente articolo è un ulteriore testimonianza diretta di DCA all’interno dei contesti sportivi e rappresenta un ulteriore prezioso messaggio per tutti coloro che operano nel settore.

La dottoressa Paola Dordoni ha intervistato Giulia Pizzuto, 25 anni, nata a Genova ma da sempre cittadina della capitale. Giulia oggi vive e lavora come ballerina professionista in Germania, da sempre il suo sogno. Lavora da due anni presso il Teatro di Treviri. Nel corso della sua vita ha combattuto e vinto l’anoressia, e desidera parlarcene.

  • Giulia, quale credi fosse l’obiettivo che volevi raggiungere nel periodo dell’anoressia?

“Il mio obiettivo era sicuramente arrivare ad essere la più magra di tutte, di chi conoscevo, di chi avevo attorno. Vedevo tutto come una sfida, ogni istante, che solo io potevo vincere. Amavo essere guardata, pensavo fosse perché erano tutte invidiose della mia “miniatura da bambolina”, quando invece mi guardavano per tristezza e compassione.”

  • Nel vederti dimagrire come ti sentivi? Quali emozioni avevi nel guardarti allo specchio?

“….è triste. Misuravo ogni sera il mio corpo, dovevo raggiungere quei centimetri calcolati. Se non riuscivo mi punivo su braccia e pancia, se ci riuscivo ero la persona più felice del mondo. Lo specchio? Rifletteva quella figura che poi è diventata la mia migliore amica, mi incoraggiava a fare di più, mi diceva: “Devi impegnarti, guardati, sei enorme”… quando in realtà ero invisibile e vuota…dentro e fuori.”

  • Quali erano i pensieri più frequenti quando eri a danza?

“In termini di pensieri lo specchio era il mio più grande nemico… La danza infatti è una disciplina che richiede tanto sacrifico anche nella cura del proprio corpo.. nella sala, piena di specchi, era il posto in cui io mi vedevo sbagliata, “grossa”, ogni giorno di più. Avevo perso la passione, la luce negli occhi; andavo a danza solo per poter smaltire le minime calorie ingerite, ma sapevo che dentro di me non era finita, sentivo che il mio amore per lei un giorno mi avrebbe salvata, ma nel culmine della malattia non era la mia priorità.”

  • Hai dovuto rinunciare a qualcosa per via dell’anoressia?

“Nonostante le mie gravi condizioni non avevo alcuna intenzione di smettere di ballare… finché un giorno, decisero gli altri di sospendere il mio percorso da ballerina per la mia salute, diciamo infatti che non ero un buon esempio per gli altri. La cosa assurda è che mi sentivo sollevata, non avevo energie e le ossa mi facevano male. Ma la mia vita ha iniziato ad essere vuota, speravo di sentirne la mancanza, ma il mostro dentro di me era troppo potente. Non facendo sport mi allenavo la notte, addominali in continuazione senza sosta, a qualsiasi ora, mi faceva sentire soddisfatta, felice…”

  • L’anoressia ha portato ad altre sofferenze psicologiche? Parlaci del momento in cui ti sei resa conto che dall’”euforia” del dimagrimento sei passata a uno stato più di difficoltà e sofferenza legata alle complicanze.

“Ho sofferto di depressione, attacchi di panico, la salute in generale mi stava abbandonando. Non avevo le mestruazioni (sono tornate dopo 5 anni), il cuore era debole, perdevo i capelli e le ciglia, e non riuscivo a sedermi. Punivo il mio corpo, ne pago ora con le cicatrici, e ho cercato persino di porre fine alla mia vita nel modo più brutto. Iniziavo però a mandare segnali d’allarme alla mia famiglia, che nel modo più eccezionale mi ha aiutata ma io non ero ancora pronta ad ammettere di voler aiuto… e vincevo sempre io. Ero maggiorenne e non accettavo di andare da professionisti che potessero aiutarmi, il mostro che era in me non me lo avrebbe concesso.”

  •  Le relazioni hanno influito su questa esperienza? in che modo?

“La mia famiglia ha fatto di tutto, con una difficoltà immensa. La mia migliore amica cercava in tutti i modi di aiutarmi, ma io non la volevo più nella mia vita perché sapevo che lei avrebbe ostacolato i miei maledetti obiettivi… ciononostante, lei c’è sempre stata, in ogni caso, ogni istante, ed ora siamo l’una la vita dell’altra. Il tempo mi ha regalato amici e amiche meravigliose che hanno determinato la mia guarigione e senza di loro, tutti loro.. non ce l’avrei mai fatta.”

  • Quali erano i momenti più difficili?

“I momenti più difficili erano le visite mediche di controllo. Quelle rovinavano tutti i miei piani. Cambiavano la mia dieta e ricordo mia mamma che piangeva ed io che guardavo sulla bilancia quei numeri. A volte invece bevevo litri e litri d’acqua fino quasi a svenire per poter pesare di più affinché per un giorno potessero provare sollievo anche i miei genitori.”

  • Cosa ti ha spinto a chiedere aiuto? Come sei arrivata a questa consapevolezza?

“Ero esausta. Mi mancava la danza, mi mancavano le mie amiche, erano gli ultimi anni di liceo ed ero sola, quindi ho chiesto aiuto, ma ogni 2 passi avanti ne facevo 4 indietro. Fino a quando, un giorno, chiesi alla mia famiglia di partire un mese da un’ amica a Los Angeles. Sapevo che questo mi avrebbe aiutato. La mia famiglia mi ha dato fiducia, ero controllata e dunque mi hanno lasciata andare.”

  • Cosa ha fatto davvero la differenza nel tuo percorso per uscirne?

“Qualcosa è cambiato proprio a Los Angeles. Una notte sono stata aggredita e quella paura ha superato la paura dello specchio, dei chili, della bilancia …il giorno dopo qualcosa in me era cambiato. A piccoli passi, facevo progressi senza tornare indietro. La macchina aveva ripreso a funzionare anche se lentamente, e l’amore per la danza, che mai mi aveva abbandonato, ha inserito l’accelleratore. Accettavo il cibo, avevo ripreso ad apprezzarlo, sapevo che serviva anche per ricostruire i miei muscoli, per le mie forze e dopo essermi affidata a fisioterapisti, psicologi e dietologi eccezionali (che immensamente ringrazio), ho ripreso a vivere…fino ad arrivare dove sono ora.”

  • Cosa consiglieresti ad una persona che sta vivendo ora questa esperienza?

“Combattete, combattete, combattete!! Fuori c’è un mondo meraviglioso che aspetta solo voi. Chiedete aiuto, nessuno vi giudicherà, il cibo sarà vostro amico se gli date il permesso. La vita è più importante di qualsiasi debolezza, riaccendete la vostra macchina, riprendere a vivere, se ci sono riuscita io potete farcela anche voi!! Adesso ho fame di vivere, fame di riprendere il tempo perso, ma soprattutto fame di essere felice. Quindi forza, sono con voi… meritate di brillare!!”

Ringraziamo moltissimo Giulia Pizzuto per la disponibilità a raccontarsi e per la testimonianza. La danza l’ha aiutata e stimolata nel percorso di guarigione, e questo è un esempio di quanto lo sport possa essere un importante fattore protettivo nel decorso dei DCA. I segnali di una sofferenza psicologica, come nel caso di Giulia, devono essere colti da un contesto sportivo attento e sensibile allo stato di salute psicofisico degli atleti. In questi casi la passione per lo sport può rappresentare una risorsa e un motore per il cambiamento.

Dott.ssa Paola Dordoni per Nutrimente Onlus

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