Il peso delle parole: la testimonianza di M.

Il peso delle parole testimonianza disturbi alimentari

Le parole possono ferire, anche quando si hanno le migliori intenzioni. Non sempre è facile stare accanto a chi ha un problema con il cibo, il peso o il corpo. Ecco, allora, alcuni consigli per migliorare la comunicazione con chi soffre di un Disturbo Alimentare, grazie all’esperienza di una persona che sta affrontando il problema.

Il Disturbo Alimentare tocca tutti, tutta la famiglia. Sappiamo, infatti, quanto possa essere difficile per chi ne soffre relazionarsi quotidianamente con gli altri. Allo stesso modo, può diventare complesso comprendere chi ne soffre e sapere cosa è meglio dire, fare e intervenire in caso di difficoltà.

Nel Progetto Spazio ai Genitori ci proponiamo di valorizzare la famiglia in quanto risorsa del percorso di malattia. Riconoscere la diagnosi e camminare insieme lungo il percorso di trattamento richiede il coinvolgimento di tutti, e dalla nostra esperienza nessun paziente con disturbo alimentare può considerarsi isola per riuscire ad affrontare il problema.

La storia di M.

Tramite l’esperienza di M., ragazza trentenne che sta affrontando un percorso di guarigione dalla Anoressia Nervosa, vogliamo offrire a genitori e parenti che vivono un’esperienza simile un semplice strumento volto ad empatizzare, comprendere e facilitare la relazione con il loro familiare affetto da un Disturbo Alimentare. Questo mini opuscolo vuole quindi essere divulgativo, basato su esperienza personale di M., e spunto di riflessione per tutti coloro che si possono ritrovare in questo tipo di dinamiche.

Sono M. ho 33 anni, vivo e lavoro a Milano; posso definirmi un’adulta: ho un lavoro che comporta responsabilità, una casa, diversi interessi e all’apparenza posso sembrare molto determinata, appagata e sicura di me. In realtà, ho imparato negli anni a nascondere bene, a reprimere la mia insicurezza e le mie fragilità che con il tempo hanno “trovato spazio” nella Anoressia Nervosa. Ho dovuto imparare a convivere con il mio disturbo, ma ci sono parole che quotidianamente “pesano” e minano un equilibrio precario che mantengo a denti stretti e con tanta fatica. Oggi, grazie anche al percorso terapeutico che sto affrontando, capisco quanto alcune di queste parole abbiano inciso e pesato anche in passato. Spero davvero che questo piccolo opuscolo possa aiutare a comprendere il peso di alcune frasi e ad alleviare anche solo un po’ da questo peso chi come me soffre di Disturbi Alimentari. 

Cosa NON dire a chi soffre di Disturbi Alimentari

  • Minimizzare la difficoltà
    M: spesso mi capita di sentirmi dire “ma cosa ti cambia mettere un goccio di olio?! Nemmeno una mollica di pane riesci a mangiare? Questa bevanda ha zero calorie … bevine un sorso tanto mica ingrassi!”. Queste frasi aumentano il mio senso di inadeguatezza e frustrazione nel non riuscire o non poter spiegare che non si tratta di una semplice “mollica di pane” ma di un qualcosa che per me, nel momento del pasto, rappresenta una questione di vita o di morte.

  • Frasi e critiche “motivazionali” sul cibo e sul mangiare
    M: alcune affermazioni mi hanno turbata più di certe domande, mi è stato detto “Mangia un po’ di riso, fallo per me” oppure “I tuoi complimenti sul pranzo non hanno senso, che ne sai di come sono le mie polpette se non le hai nemmeno toccate?!”, “Cosa guardi a fare Cake Star?! Tanto nemmeno li mangi i dolci”. Dietro questo tipo di commenti non c’è l’intento di comprendere e hanno solo l’effetto di massimizzare il senso di colpa e la voglia di sparire, di occupare meno spazio possibile.
  • Assunzioni sul comportamento alimentare e sull’aspetto fisico
    M: alcune frasi, che faccio fatica a gestire ancora oggi, mi risuonano come un tamburo nella testa: “Tanto lo so che hai iniziato questa dieta strana perché non vuoi fare la fine di tua madre obesa, avete la stessa costituzione tanto” oppure “Ma cosa hai combinato!? Sembri una di quelle modelle anoressiche, chissà se sei malata e hai il cancro”. Vorrei semplicemente che le persone non cercassero di dare una spiegazione logica alla mia condizione, ma solo accettarla o almeno fingere di non vederla per non rischiare di distruggere il lavoro che ho fatto e che faccio ogni singolo minuto per combattere i miei pensieri ossessivi sul cibo
  • Descrivere il Disturbo Alimentare come un capriccio
    M: una delle frasi che mi ha fatto più male, perché mi provoca imbarazzo e vergogna, è stata detta dalla persona che mi ha cresciuta: “Ormai sei grande. Queste frivolezze non sono da te!” Una sentenza che ha pesato e pesa più di un ergastolo.
  • Elogiare la magrezza
    M: anche i complimenti detti con leggerezza possono essere molto pericolosi: ad esempio “Come ti invidio… sei magrissima!”. Sono parole che hanno un doppio effetto negativo su di me perché da un lato mi “incoraggiano” alla ricerca della magrezza eccessiva e dall’altro alimentano rabbia, perché ad oggi non riesco più ad avere la percezione del mio corpo e qualsiasi tipo di commento sul mio aspetto esteriore è come un pugno allo stomaco: mi portano a rimuginare sul perché gli altri riescono a vedere ciò che io non riesco più guardare.
  • Complimentarsi per il miglioramento nel fisico
    M: “Questa camicia ti sta stretta, prima ti stava larghissima!” sono frasi che nascono  dalla gioia di chi mi sta accanto in questa battaglia quotidiana, ma per me o meglio per il mio disturbo, rappresentano un campanello di allarme che ormai riesco a spegnere con la gratitudine. Infatti ho imparato a pensare che sono grata a chi gioisce al mio posto per i miei progressi.
  • Svalorizzare o ignorare le richieste di conferma
    M: “Ma non ti vedi come ti stanno i vestiti addosso”? Purtroppo NO… Questa sarebbe la mia risposta, se avessi il coraggio di dire la verità. Una delle cose che faccio più fatica a far comprendere ai miei cari è che ho perso del tutto la percezione della mia figura. Io “non mi vedo” e sto imparando a guardarmi attraverso  lo sguardo e il parere di chi mi vuole bene, oppure con altri sensi come il il tatto, o l’esperienza percettiva.

  • Invitare fuori per pranzo/cena e le ricorrenze in famiglia
    M: “Cosa mangiamo a Natale?” tutto parte da queste situazioni, ma l’enorme difficoltà è trovare sempre giustificazioni plausibili al fatto che con ogni probabilità mangerò qualcosa di diverso da tutti e che per farlo dovrò espormi con mille spiegazioni al cameriere di turno o alla nonna che preparerà il cenone. Sarebbe più facile se gli altri non si interessassero così tanto a cosa c’è nel mio piatto. Non capisco il  fastidio che do, dopotutto loro mangeranno ciò che vogliono, io ciò che riesco.

Cosa sarebbe utile dire a chi soffre di Disturbi Alimentari

Cosa fare, quindi? Come trasmettere incoraggiamento e sostegno a chi ha difficoltà con il cibo, il peso o il corpo? Ecco qualche piccolo suggerimento nato dall’esperienza di M:

  • É preferibile evitare qualsiasi tipo di domanda riguardante il cibo e il comportamento assunto a tavola, soprattutto nei momenti che precedono e seguono il pasto che sono quelli più carichi di tensione. Piuttosto si può provare a proporre in maniera naturale la sperimentazione, con frasi del tipo: “ti andrebbe di assaggiare questa pietanza?” 
  • Fare riferimento all’aspetto corporeo, evitando commenti sull’estetica in generale, magari sottolineando la funzionalità del corpo, che ad esempio ci consente di stare in piedi e non cadere, ci consente gli spostamenti e ci permette di vivere la quotidianità, un complimento potrebbe essere ad esempio: “oggi ti trovo bene!” oppure “oggi hai un bel sorriso contagioso”.
  • Quando si tratta di abbigliamento, si potrebbe puntare alla valorizzazione della persona, commentando con frasi del tipo: “Questa maglia si abbina bene al colore dei tuoi occhi”, “Questo modello di giacca ti dona”. Evitare quindi di descrivere come il capo calzi addosso, perché ridurre il rischio di rimandare alla forma fisica e al peso. 
  • In occasione di pasti o cene fuori può aiutare scegliere ristoranti in cui l’ambiente cattura l’attenzione. Il consiglio di M. è di cercare di rendere i pasti fuori casa una sorta di viaggio e di esperienza nuova che non si concentri solo ed unicamente sul cibo da consumare, ma che possa offrire anche altro.

Sono molti i suggerimenti che possono nascere da un’esperienza, ma la storia di M. ci regala l’occasione per sottolineare come nonostante le mille difficoltà che possono esserci lungo la strada, la famiglia e gli amici possono imparare a relazionarsi con i Disturbi Alimentari, diventando una risorsa per il proseguimento del percorso di cura.

Usando le parole di M.: “Il suggerimento più importante: le persone che mi stanno accanto  e che mi aiutano davvero, sono quelle che non mi giudicano e che accettano questa parte di me, senza assecondarla. Infatti non mi consolano se piango quando provo a mangiare un po’ di pasta, ma mi distraggono nel momento del pasto, chiacchierando di tutt’altro e anche scherzando. Oggi con loro a tavola riesco a scherzare sul mio disturbo e queste sono le vere risorse che alleggeriscono la mia lotta quotidiana contro la mia Anoressia Nervosa“.

Testimonianza raccolta dalla dottoressa Paola Dordoni.

Nutrimente tiene a ringraziare M. per il coraggio di esporsi nel raccontare la sua esperienza e di condividere con l’Associazione i il desiderio di aiutare a capire meglio i disturbi alimentari e chi ne soffre.

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