Fiocchetto Lilla VII edizione: Oltre i DCA, orizzonti e benessere

Durante la giornata del Fiocchetto Lilla Nutrimente ha presentato le sue nuove iniziative per la prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare. Pubblichiamo il resoconto di Giulia sulla serata. 

Il 15 marzo è una data importante per chi soffre o si occupa di Disturbi del Comportamento alimentare. Si svolge infatti, con una serie di manifestazioni in tutta Italia, la giornata del Fiocchetto Lilla, per sensibilizzare rispetto al tema dei disturbi alimentari.

Dovrebbe essere un giorno significativo e di sensibilizzazione anche per chi è estraneo a queste patologie mentali, poiché il tasso di incidenza soprattutto tra i più giovani è in continua crescita; eppure la mia impressione è che questi argomenti siano ancora troppo tabù, troppo oscuri e quasi nascosti alla nostra società. E questo è pericoloso, perché in un mondo in cui i modelli dominanti sembrano essere quelli di superficie, quelli social, quelli da copertine, che contribuiscono significativamente ad accentuare il senso di alienazione e liquidità in cui stiamo precipitando, malattie mentali come depressione, disturbi d’ansia e dell’umore, ma anche disturbi del comportamento alimentare (ossia anoressia nervosa, bulimia nervosa, binge eating disorder), trovano terreno fertile per attecchire e germogliare, dannatamente resistenti e insidiosi ma non inestirpabili.

Silenziosamente si introducono nella mente e nelle vite di ragazze e ragazzi spesso resi più fragili dal contesto sociale e ambientale in cui vivono e che, ignari, non si accorgono di come questi disturbi risucchino lentamente le loro esistenze, stritolandole e fagocitandole come un pitone attorno alla sua preda.

Per questo motivo la Giornata del Fiocchetto Lilla, giunta quest’anno alla sua VII edizione, dovrebbe essere occasione di riflessione sui DCA e il modo in cui essi agiscono; un modo per informarsi ed informare, per realizzare come questi disturbi tanto insidiosi e annichilenti, potenzialmente letali, si manifestano, vivono, e come possono anche essere sconfitti o addirittura evitati. Quest’anno Nutrimente, proprio in occasione di questa giornata di sensibilizzazione, ospite di Banca Prossima, ha organizzato un evento a cui sono stati invitati psichiatri, psicoterapeuti, esperti di DCA, ma anche pazienti e loro famigliari, per illustrare le attività compiute dall’associazione per trattare e prevenire i disturbi del comportamento alimentare.

Nutrimente nasce dalla volontà di Psicologi e Medici, impegnati nello studio dei DCA, di estendere la conoscenza circa queste psicopatologie all’esterno della realtà ospedaliera, poiché esse si fanno largo proprio nella quotidianità di ragazzi e ragazze, nella scuola, nello sport, anche sul luogo di lavoro, e pertanto è bene informare ed informarsi su cosa si può fare per agire preventivamente prima che l’obiettivo si trasformi nella guarigione della malattia. È quanto ha spiegato la Dott.ssa Sara Bertelli, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile dell’ambulatorio DCA dell’Ospedale San Paolo di Milano, introducendo i progetti e le attività principali portate avanti da Nutrimente, come i laboratori di yoga, fotografia sensibile o di riavvicinamento al cibo.

Perché una ragazza che soffre di anoressia dovrebbe volersi avvicinare allo yoga per prendere consapevolezza del proprio corpo, o tagliare una mela per preparare un dolce, o ancora lasciarsi immortalare in fotografie che ritraggono il suo corpo emaciato? Proprio perché queste ragazze hanno bisogno di rendersi conto del proprio corpo, di amarlo e accettarlo, di viverlo quotidianamente poiché casa del loro Io, di averne cura, di nutrirlo ascoltandone i bisogni senza demonizzare il cibo che fornirà l’energia fondamentale per vivere in modo sano e compiere ogni attività giornaliera.

Come ha spiegato la Dott.ssa Simona Anselmetti, psicologa e psicoterapeuta responsabile del laboratorio di Yoga proposto da Nutrimente, la  disciplina dello Yoga è ormai scientificamente attestato che apporta benefici sia fisiologici che psicologici aiutando, soprattutto tramite il focus sulla respirazione, a combattere ansia, depressione, dipendenze, ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività) e si sono rivelati molto utili anche con i pazienti affetti da Disturbi del comportamento alimentare, come dimostrato da questo laboratorio ispirato anche agli insegnamenti di C. Costin esposti nel suo libro Yoga for Eating Disorders.

Chi soffre di un DCA è prigioniero di se stesso: è come se il suo Io fosse scisso in una parte sana ed una malata che si impone con una volontà dispotica imbrigliando e mettendo a tacere ogni emozione della sua controparte sana, di un Io diviso. La consapevolezza di sé, del proprio corpo, dei propri limiti, si dissolve. Un senso di invincibilità e una tensione all’eterea perfezione, verso il superamento dei propri limiti, rappresentati dal corpo, “tomba dell’anima” come affermò Platone, allontanano il soggetto affetto da anoressia da una corretta percezione di sé, distorcendola al punto che tutto ciò che di sé vede riflesso nello specchio è troppo; troppo grosso, troppo grasso, troppo goffo, troppo ingombrante, troppo “troppo”. E allora la volontà dispotica mette a tacere la sua controparte sana imponendo alla propria vittima di tagliare, perfezionare, smussare, rimuovere, piallare e scarnificare ciò che eccede per poter finalmente essere perfetta e quindi accettata e degna di amare ed essere amata. E allora si va oltre il limite, si impone un ferreo controllo su ogni cosa, a partire dal corpo perché la realtà è in continuo divenire, non la si può fissare in rigidi schemi; non ci si può permettere di fidarsi di nessuno, nemmeno di se stessi. Tutto è chiuso, tutto è controllato, tutto va allontanato da sé per poter superare il limite, fino alla perfezione, fino a non essere.

Ed ecco allora che lo Yoga, focalizzandosi proprio su ciò che la malattia demonizza, aiuta chi soffre di DCA o ha anche solo minimi sintomi sui quali è bene agire subito capendone innanzitutto la causa profonda, a ritrovare una quiete interiore utile a favorire una maggior accettazione e consapevolezza di sé e del proprio corpo.

Alcune pazienti raccontano che sebbene inizialmente avvicinarsi alla pratica risulti difficile, poiché ci si ritrova deboli, prive di energia, con muscoli che a stento riescono a sopportare il minimo sforzo fisico richiesto, la sensazione interiore di leggerezza e libertà a cui successivamente si giunge, è inappagabile per chi per lungo tempo è stata prigioniera di se stessa, incubatrice di emozioni mai vissute.

Durante la pratica fondamentale si rivela il focus sull’enterocezione, ossia sull’ascolto di sé, del proprio corpo, alleato e non nemico; i muscoli si tendono, l’aria entra nei polmoni durante le inspirazioni ed esce durante le espirazioni, portando con sé i pensieri negativi. Le posizioni si succedono lentamente, al ritmo del respiro: ognuna è libera di scegliere come e quali posture assumere, consapevole dei propri limiti, in ascolto delle sensazioni provate dal proprio corpo, disposta a fidarsi di se stessa e del maestro di yoga che media tra la paziente e lo psicoterapeuta.

<< È meraviglioso quando impari ad ascoltarti e a soddisfare i tuoi bisogni: voglio mangiare? Mangio. Voglio leggere? Leggo. Voglio dormire? Dormo. Voglio cantare? Canto.>>

La percezione di sé è uno degli ostacoli più difficile da superare per chi soffre di DCA: ci si vede senza vedersi. Si guarda un’immagine che non corrisponde alla realtà, ma appare distorta, inaccettabile e pertanto odiata perché non aderente ai canoni di eterea perfezione che la malattia impone di raggiungere per essere di più, per non essere più solo “abbastanza”, per eccellere ed essere certe di poter dare e meritare amore senza più essere abbandonate o trascurate, per essere inattaccabili dal dolore, per essere all’altezza delle aspettative altrui. Come se per vivere ed essere felici fosse necessario essere perfetti e superarsi sempre senza mai trovare una soddisfazione, ma solo un impietoso senso di frustrazione; eppure è proprio questo che la società in cui viviamo sembra insegnarci.

Il Laboratorio di Fotografia sensibile, un percorso esperienziale tra fotografia, yoga e automassaggio ayurvedico, tenuto da Michela Di Savino, fotografa specializzata in fotografia terapeutica, si rivolge a tutti coloro che hanno delle difficoltà a relazionarsi con la propria immagine corporea, che essendo un insieme di più fattori che concorrono a fornire la percezione che abbiamo di esso, porta a lavorare anche su pensieri e valutazioni che di questo ci formiamo.

Proprio come nello yoga, anche in questo laboratorio l’obiettivo è quello di riuscire a generare nelle pazienti una consapevolezza del proprio corpo mediante tecniche di propriocezione come le esperienze tattili del proprio corpo, unitamente la movimento consapevole praticato nello yoga. Il corpo non è più percepito come un oggetto tra tanti, un peso da sgravare, materia da svuotare e modellare, ma viene sentito; ci si mette in ascolto del proprio corpo, senza giudicarlo. Lavorare sullo spazio fisico e su quello interiore nel “qui ed ora”, incrementa la consapevolezza che si ha di sé; ed è qui che entra in gioco la fotografia, ponte tra la percezione di sé e il corpo stesso. Sviluppando e applicando le tecniche dell’autoritratto, del ritratto fotografico e del collage con i contenuti prodotti dalle partecipanti, le pazienti riescono a conoscere se stesse, sia esteriormente che introspettivamente. Lasciando libere le loro emozioni consentono all’obiettivo di immortalarle per come sono in quel momento e grazie alla fotografia istantanea stampata al momento stesso dello scatto, lasciano che essa racconti ciò che sono, in quel momento con una rappresentazione della realtà indiscutibilmente oggettiva e veritiera. Se una ragazza anoressica non ammetterà mai che la figura emaciata riflessa dallo specchio rappresenti proprio ciò che essa è in quel momento, poiché gli occhi della malattia manipolano la percezione che essa ha di sé, raffigurandole una creatura pingue e goffa che non potrà che essere criticata dagli altri, rendendole la vita insopportabile e opprimente, la fotografia istantanea è verità: “tu sei questa, vedi?” – sembra urlarle l’immagine stampata – “ora impegnati ad accettarti e ad amarti per quello che sei.”

Amarsi significa avere cura di sé e avere cura di sé vuol dire fornire al corpo ciò di cui ha bisogno per vivere al meglio e serenamente. Nei disturbi del comportamento alimentare questa premura viene negata al corpo, oggetto tra gli oggetti e reo di essere inadeguato e inadatto a quello status di eccellenza che ci si è prefissati di raggiungere. Secondo Charles Lasègue, uno dei primi medici che si occupò di anoressia nel XIX secolo, l’inappetenza e l’inedia, sintomatiche della malattia, sono associate alla brama da parte del soggetto anoressico di suscitare un desiderio di mancanza nell’Altro rifiutando il cibo che egli gli offre in quanto il cibo è solo materia e la fame solo un bisogno fisiologico. L’unico cibo di cui un paziente con un DCA ha bisogno è l’amore, un sentimento che viene concepito come puro, importante ed essenziale a tal punto da credere che solo un essere ideale sarebbe capace di offrirlo, e d’altra parte, solo un essere perfetto meriterebbe di riceverlo. Il niente di cui l’anoressica si nutre è proprio dovuto all’immaterialità di quel sentimento così puro che essa anela dare e ricevere. Ma è errato pensare che chi soffre di un DCA non desideri affatto il cibo; esso costituisce l’oggetto amato e odiato allo stesso tempo, il chiodo fisso che riempie i pensieri dei pazienti, l’ossessione che scandisce le ore di ogni singolo giorno in cui la malattia silenziosamente e ostinatamente avanza. La credenza e il frigorifero si trasformano nel canto delle sirene che incanta e attrae la propria preda, i blog di cucina, con i loro piatti così fotogenici, ammaliano gli occhi affamati di chi si nutre di briciole o si abbuffa eliminando poi tutto nella tazza del wc. Perché dunque dei pazienti affetti da DCA dovrebbero essere invogliati a partecipare ad un laboratorio di riavvicinamento al cibo se inevitabilmente esso causerà loro una tormentosa sofferenza?

Back to food – laboratorio sperimentale proposto da Nutrimente, attivo da un anno e tenuto dalla Dott.ssa Chiara Orlandi – cerca di affrontare il complesso problema rappresentato dal cibo nei pazienti affetti da disturbi del comportamento alimentare riavvicinandoli ad esso e riscoprendo la gioia non solo del nutrirsi ascoltando il proprio corpo ma anche quella della convivialità. 

In questa seconda edizione condurrà il laboratorio lo chef Tommaso Fara. Con il suo spazio FOODSPOT, lo chef Fara è stato selezionato, non solo per la sua apertura e curiosità sul tema, ma anche perché riprende nella propria mission lavorativa e imprenditoriale, l’idea ricreativa, di benessere e di convivialità che sta alla base della cucina e del buon cibo.

Spesso infatti chi soffre di un DCA, proprio perché ipercritico nei propri confronti e pertanto totalmente sfiduciato, crede che l’Altro giudichi ogni suo comportamento. Per questo tende a fuggire dalla socialità, a nascondersi dallo sguardo altrui che percepisce pericolosamente giudicante, a sottrarsi da ogni momento di condivisione quotidiana con l’Altro. Il disagio nel trovarsi a cena con la propria famiglia, a mangiare una pizza con gli amici, a celebrare le festività davanti a pasti luculliani finisce per torturare chi soffre di disordini alimentari. E allora si isolano; e anche ogni pasto si riduce a un rito in questo isolamento fatto di abbuffate e conseguenti dita in gola, cibo sapientemente nascosto o ingerito in minime quantità e poi bruciato con una imminente ed estenuante attività fisica. Back to Food vuole cercare di riavvicinare gradualmente le pazienti alla convivialità e ad una sana alimentazione in cui il cibo è amico e non ha bisogno di essere controllato e demonizzato. In collaborazione con BistroBiò di Claudio Di Dio lo scorso aprile si è aperta la prima edizione di questo laboratorio sperimentale che ha ottenuto un notevole successo. Una partecipante ha ammesso che sebbene inizialmente la paura e il disagio nel trovarsi in quell’ambiente che profumava di cibo, circondata da persone, sembravano avere la meglio suggerendole di scappare, si è presto dovuta ricredere: la sensazione di autonomia e libertà nel prendere una mela, sbucciarla e tagliarla a cubetti per prepararne una torta e non per renderla l’unico pasto di una giornata per rientrare nelle tabelle caloriche che ci si era prefissate, erano uniche ed impagabili.

Ascoltare se stessi e il proprio corpo è il primo gesto d’amore che possiamo regalarci. Talvolta questa cura così spontanea che dovremmo avere nei riguardi di noi stessi viene meno per vari motivi e ognuno di essi va indagato per poter individuare la ragione di questo celato malessere e tornare a volerci bene. Lo yoga, la fotografia sensibile e il graduale riavvicinamento al cibo e alla dimensione della convivialità sono attività che possono realmente aiutare chi soffre di disordini alimentari o comunque ha difficoltà a rapportarsi con il cibo o con la propria immagine; permettono di ristabilire un equilibrio spezzato, di ritrovare leggerezza, autonomia e consapevolezza di sé e delle proprie azioni, liberi dal proprio giudizio ipercritico e dal logorante senso di inadeguatezza che esso implica. Scegliere di ritrovare se stessi è il primo passo verso la guarigione; può essere molto difficile inizialmente, e d’altronde perdersi per ritrovarsi è forse il cammino più arduo che si possa intraprendere per poter tornare davvero a vivere e a godere di ogni istante in modo libero e autentico, dandosi la possibilità di amare se stessi e quindi anche l’Altro. L’importante è reagire a ciò che fa stare male, guardare in faccia il nemico e affrontarlo; imparare a chiedere aiuto quando se ne ha bisogno, senza temere di disturbare o vergognandosi della propria fragilità. Chiedere aiuto è umano, cadere è umano, soffrire è umano, ma anche darsi la possibilità di tornare a vivere in armonia con se stessi e il mondo è umano, è vita.

Giulia Elena Vigoni

La serata è anche stata un’occasione per lanciare la prima campagna di crowdfunding di Nutrimente. Andando al LINK su Eppela, è possibile donare per finanziare il il 1° laboratorio assistito di riscoperta e riavvicinamento al cibo dedicato a persone con Disturbi del Comportamento Alimentare, all’interno del progetto Back to Food. Donare è facile e a seconda della donazione si potrà ricevere una ricompensa speciale!

Altre foto dell’evento

Il resoconto delle passate edizioni del Fiocchetto Lilla: IV, V, VI.

Share