Testimonianza di A.

“Cibo spazzatura, fritto, affettati, dolci, formaggi; insomma, dovresti evitare tutti gli alimenti grassi, avendo valori di colesterolo così alti.” Queste furono le parole del medico di famiglia quando, a diciassette anni, mi diagnosticarono “alta colesteromia”; queste furono le parole che diedero inizio alla discesa verso una malattia infinitamente più pericolosa: l’Anoressia restrittiva.

Sono A. Sono una ventenne, milanese. Da tre anni a questa parte soffro di Disturbi del Comportamento Alimentare, e solo dallo scorso Giugno sono in cura presso il centro di DCA dell’Ospedale San Paolo di Milano. Solo ora riesco a capire quanto quella diagnosi, rivelatasi poi falsa, abbia innescato in me un processo mentale drammatico, ma che all’epoca non sembrava così distruttivo. A diciassette anni, la maggior parte delle ragazze sono in lotta continua con il proprio corpo: una curva di troppo, un difetto che non si riesce ad accettare, qualche rotondità molesta; io non facevo eccezione. Al momento del lapidario consiglio, già pianificavo di perdere qualche chilo per sentirmi più bella, più statuaria, più “perfetta”, e quella lista di “alimenti nemici” si tramutò facilmente in una rigida condotta da seguire che, mese dopo mese si fece sempre più restrittiva. Iniziai riducendo nella mia dieta abituale i cibi elencati, fino ad eliminarli completamente; iniziai a perdere peso e, grazie a questo semplice controllo, a sentirmi soddisfatta, potente, migliore, ma non abbastanza. Piano piano, abolii sempre più alimenti “eccessivamente calorici”, consumando solo ciò che la mia mente riteneva “estremamente sano”, al fine di velocizzare la mia trasformazione; piano piano la rigidità diventava mortale. Arrivai ad assumere non più di duecento calorie al giorno, pesare frutta e verdura per calcolarne le calorie; poi al punto di digiunare per giorni interi, svanire mentalmente e fisicamente. Ampliavo la rete di controllo sul mio corpo, senza rendermi conto di quanto quella rete mi stesse logorando. Persi me stessa in quella rete, allontanando le persone care spaventate e impotenti; il disturbo alimentare era il mio solo compagno e si impadroniva di tutte le mie sensazioni, gli interessi, la vita, e io, io non me ne accorgevo nemmeno. E’ questo fondamentalmente il problema dei disordini alimentari: non sai mai davvero come ci sei entrato, come hai proseguito verso l’autodistruzione e come hai fatto ad arrivarci così vicino. In effetti, nel Giugno del 2015, ero giunta davvero a un passo dal completo annientamento di me stessa: pesavo trenta chili per un metro e sessantotto di altezza. Un “morto che cammina”, come si usa dire, e io camminavo eccome. Camminavo a tal punto che quando chiesi aiuto all’equipe medica del San Paolo e loro mi proposero immediatamente un ricovero d’urgenza, quasi mi veniva da ridere; ai miei occhi io stavo bene, drammaticamente sottopeso certo, ma fisicamente in forze. Accettai il ricovero guardando negli occhi di mia madre le lacrime di paura e preoccupazione, vedendo il suo amore incondizionato e il terrore di perdermi a diciannove anni; accettai con difficoltà, ma accettai di guarire. Accettai di riacquistare peso e salute, promisi a me stessa di non ricadere mai più in quel baratro, in quel buco nero di non-vita, di depressione, restrizione e ipercontrollo. Decisi di togliermi finalmente la maschera di falsità che nei due anni precedenti avevo forgiato così bene a mia immagine e somiglianza, decisi di reagire. Il San Paolo mi salvò la vita con quel ricovero, e mi diede la spinta per uscirne con le mie forze, con la mia volontà, con il mio desiderio di vivere. Grazie alla psicoterapia e al programma di Day Hospital, tra ricadute e risalite, sto riprendendo in mano la mia vita, il mio corpo, la mia mente, le mie passioni ed emozioni. Passo dopo passo sto camminando verso la luce alla fine del tunnel: è una luce luminosissima, è la luce della salute mentale e fisica, la luce di un’esistenza libera e normale. Quella luce sono io, A., la vera e migliore versione di me stessa.

Continuerò a combattere il mostro dell’Anoressia per riavermi completamente indietro, fino alla fine, per lasciarmi quella viscida e mortale compagna alle spalle; continuerò a combattere perché ora so che la “perfezione” non esiste. Io ora esisto, sorrido, sento, vivo, e questo è meravigliosamente imperfetto.

A.

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